"Basta arrivare primi con l'immagine, la notizia – scriveva Martini nella Lettera pastorale "Il lembo del mantello -; non importa come, non importa quanto valutata, meditata, rielaborata. Così si assiste a una specie di martellamento o bombardamento per stupire e passare oltre". Oggi su Internet e nelle reti sociali la voglia dello scoop si trasforma nella mania di conquistare i "clic". Si è più popolari, e quindi più attendibili, se si collezionano quanti più "clic" possibile o quanti più "Mi piace" possibile. Ad ogni costo. Anche calpestando la verità, la dignità della persona, l'armonia sociale. Adesso vanno di moda gli "influencer", ossia coloro che davanti a uno schermo orientano i pensieri e i modi di agire nell'opinione pubblica. Ma dovremmo chiederci: qual è la loro finalità? Chi c'è dietro di loro? A dettare legge nell'universo digitale è l'idea dell'uomo consumatore, ridotto a oggetto. Ecco perché siete tenuti anche a svelare i lati oscuri della comunicazione, per rendere i cittadini più consapevoli. Per fare tutto ciò gli organi della comunicazione sociale devono uscire da un circolo vizioso: è quello dell'autoreferenzialità. Anche papa Francesco lo indica come una "piaga" della Chiesa. Può accadere che i media si chiudano in loro stessi, si citino a vicenda, raccontino più quello che avviene nei palazzi o è immaginato sulle pagine dei giornali, piuttosto che portare alla ribalta le attese della "povere gente" e quanto tocca davvero il cuore e la mente delle persone. C'è quindi bisogno di un'informazione "in uscita", che si cali davvero fra le difficoltà e le speranze delle nostre comunità. Pertanto la vostra agenda sia ispirata dalla gente che chiede pane e lavoro, dignità e rispetto, attenzione e vicinanza da parte delle istituzioni e non sia piegata agli interessi particolari o ai potentati politici, economici e ideologici. Si diceva un tempo che il giornalista deve consumare le suole delle scarpe per andare fra la gente e capire ciò che succede. Oggi si pensa che stando davanti a un computer, a un telefonino o a uno schermo si possa conoscere la realtà "reale" ed essere in grado di analizzarla. Non è così. La barriera "digitale" non sempre consente di intercettare i bisogno dell'uomo, di immergersi nella società, di costruire visioni di ampio respiro. Me ne sto rendendo conto anche organizzando l'Incontro "Mediterraneo, frontiera di pace" che porterà a Bari i vescovi delle nazioni affacciate sul grande mare per proporre insieme percorsi di riconciliazione fra i popoli. A concludere l'iniziativa sarà papa Francesco che così testimonia la sua paterna vicinanza alla Chiesa italiana e all'area mediterranea che è la culla delle tre grandi religioni abramitiche ma anche bacino di guerre, miserie e morte come accade fra le onde del grande mare diventato un cimitero per coloro che fuggono dalla violenza e dalla povertà. Ecco, parlando con i confratelli vescovi dei Paesi delle altre sponde del Mediterraneo, ho compreso quanto sia parziale, se non talora distorta, la prospettiva con cui guardiamo alle loro terre e ai loro problemi. Cito le guerre che infiammano l'intera regione oppure il fenomeno migratorio che l'Occidente vede talvolta con timore e che in Nord Africa o in Medio Oriente viene considerato una "perdita sociale" perché la partenza di uomini, donne, ragazzi e famiglie impoverisce la società e, quindi, da loro giunge l'appello ad aiutare i Paesi a svilupparsi per scongiurare esodi di massa. Il tema che papa Francesco ha scelto per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2020 è "Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria" (Es 10,2). La vita si fa storia. Senza memoria si finisce per ripetere, in maniera acritica, gli stessi errori del passato. Il Papa ci ricorda che, soprattutto in una società digitale dove l'istantaneità e la velocità sono i principi cardine, non possiamo piegarci soltanto sul presente "usa-e-getta" ma occorre avere radici solide. Da qui il richiamo di papa Francesco alla memoria, alla storia. Attraverso la memoria avviene la consegna di speranze, sogni ed esperienze da una generazione ad un'altra. La comunicazione è chiamata dunque a mettere in connessione, attraverso il racconto, la memoria con la vita e, in questo modo, a diventare anche uno strumento per costruire ponti e per condividere la bellezza dell'essere fratelli e quindi appartenenti all'unica grande famiglia umana.Gualtiero Card. Bassetti. fonte com a cura R.L.