Domenica 24 Marzo 2019 20:01

Premiazione giornalisti da Consiglio Ordine Umbria: intervento Lucio Biagioni

(CIS) - Perugia mar. - Sono onorato di essere oggi qui a ricevere questo riconoscimento (40 anni di p rofessione - ndr-), di cui ringrazio l'Ordine dei Giornalisti e il suo Presidente. Vi rubo una manciata di minuti per dire due parole sul ruolo degli uffici stampa (la ragione, in fondo, per cui oggi sono qui, a parlare di svariati decenni di lavoro), sul loro rapporto e collocazione nel quadro complessivo del giornalismo. Ho lavorato per l'Ufficio Stampa della Regione Umbria dal 1976 al 2014, dal 1980 come direttore. Ho fermamente creduto - ha detto Lucio Biagioni - che fosse possibile fare del giornalismo, anche del buon giornalismo, perché no, facilitato dal fatto di operare nell'Ufficio Stampa di una istituzione, inclusiva, per natura e statuto, della generalità degli interessi degli umbri. Ricordo alcune tappe che mi sembrano significative di questo percorso: la fondazione dell'Agenzia di Stampa "Umbria Notizie", che voi tutti, addetti ai lavori, conoscete. Fu all'epoca, nel 1976, data d'inizio della sua fase sperimentale, una piccola rivoluzione, nel suo genere prima o fra le prime in Italia, che mutò radicalmente il modo di fare informazione/ comunicazione di una istituzione pubblica. Fu il modo di superare i tradizionali comunicati-stampa generalmente malscritti, dal punto di vista giornalistico, paludati, burocratici e autoincensanti, e offrire a media e abbonati dell'agenzia un flusso informativo/ comunicativo basato su un principio di fondo: l'Agenzia Umbria Notizie era sì un prodotto che proveniva da una istituzione, amministrata da una coalizione politica con precisi orientamenti, e quindi necessariamente (pur nel dichiarato perseguimento dell'interesse generale) "di parte". segue

 

Ma voi che la leggevate, voi che la ricevevate e la utilizzavate (e continuate a farlo), questo lo sapevate, e lo sapete, e per questo non ne siete stati (e non lo siete ora) ingannati. I fatti venivano per la prima volta (in ambito politico) separati dalle opinioni, si aveva per la prima volta la possibilità di attribuire e distinguere, di utilizzare con chiarezza il materiale fornito. Grazie a che cosa, in forza di che? Della buona tecnica del giornalismo. La buona tecnica, la buona scrittura, che è collegata organicamente con una basilare deontologia giornalistica. Informare, dando ai propri lettori e utenti i consapevoli strumenti di base per esercitare l'analisi critica. Vedete, tutto ciò non sarebbe stato possibile se la politica, le amministrazioni di un tempo, non fossero state d'accordo. Che erano partisan, per carità, come si dice oggi. Ma ebbero la lungimiranza – in quell'atmosfera di novità e, diciamolo pure, di ricerca di creatività, d'individuazione di strade nuove nel rapporto fra cittadini e istituzione, che si respirava in quei primi anni del grande, inedito esperimento regionale -, ebbero la lungimiranza di consentire e sostenere l'avvio di questo processo, che riguardava tutti i cittadini. Con una premessa di fondo: permettere ai giornalisti di fare i giornalisti. Dar loro lo statuto normativo, che li faceva equivalenti, dal punto di vista normativo e deontologico (tenuti cioè al rispetto delle regole etiche della professione), ai giornalisti "di fuori", in modo che i giornalisti dell'istituzione e i giornalisti delle diverse testate s'incontrassero su un terreno comune, quello della fiducia reciproca nell'essere entrambi giornalisti, quello della mediazione fra le istanze della politica e quelle dell'informazione: che sono poi l'essere al servizio dei cittadini e dell'opinione pubblica. Nel suo primo, originario statuto, intorno al 1970, la Regione Umbria previde, anzi prescrisse esplicitamente la presenza, nel proprio Ufficio Stampa, di giornalisti iscritti all'Ordine e la piena applicazione del Contratto Nazionale di categoria, collegando direttamente e chiarissimamente questa disposizione alle esigenze di trasparenza e democrazia della neonata istituzione. Pensate: nella delibera che, qualche anno più tardi, statuì la fondazione ufficiale dell'Agenzia Umbria Notizie, si accettò persino la possibilità che l'agenzia potesse occuparsi anche di argomenti e di iniziative di enti, associazioni, soggetti esterni all'amministrazione regionale, senza alcun limite di sorta, che non fosse la pubblica rilevanza del contenuto comunicativo e l'assenza di fini di parte o di lucro. Se la Regione poteva permettersi, per le sue dimensioni, un ufficio stampa strutturato a livello professionale come una redazione, niente vietava – anzi, si raccomandava – che esso potesse essere messo al servizio di entità che, portatrici di contenuti di rilevanza pubblica, non disponessero di strumenti proprî di paragonabile impatto (e costi). Era una sorta di "patrocinio" giornalistico, che la Regione offriva a importanti manifestazioni della società civile. Ai suoi comunicati istituzionali "rivisitati", "Umbria Notizie" aggiunse la fornitura di servizî, la copertura di avvenimenti, anche non direttamente legati all'istituzione, che incontrarono l'apprezzamento delle redazioni. (Ricordo che Bruno Brunori, che non devo spiegare chi fu, e soprattutto chi è sempre e ancora per noi, menzionò e lodò la piccola "rivoluzione" in occasione della tradizionale conferenza-stampa di fine d'anno - era il 1979 - della giunta regionale, sottolineando, con l'auspicio che in questa direzione si potesse proseguire, come essa fosse andata concretamente incontro alle quotidiane esigenze delle redazioni.) Tutto ciò ebbe per conseguenza che l'Agenzia si comportò sempre più da agenzia, non limitandosi solo a comunicare l'attività della Regione, ma assumendo una sorta di taglio "pop", che la rese il punto di riferimento di numerosi "committenti" della società civile. Funzionò perfino (per dirne una) come un ufficio stampa di tutti i parlamentari eletti in Umbria. Mi piace ricordare che il suo notiziario sonoro destinato alle radio giunse ad aggiungere in coda una rubrichetta sportiva, che conteneva fra l'altro anche interviste registrate negli spogliatoi dopo gli allenamenti ai giocatori del Perugia Calcio (Gianfranco Ricci mi confessò che, qualche volta, non avendo tempo di andare allo stadio, se ne era servito per i suoi pezzi.) Ci fu anche un importante risvolto istituzionale: nell'annuale Repertorio Nazionale delle Agenzie di Stampa edite in Italia a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cominciò, insieme ad Ansa, Agi, Asca, Adn Kronos e (ai tempi) altre che si contavano in punta di dita, a figurare stabilmente anche l'Agenzia Umbria Notizie. Fu in grado, la piccola agenzia, di creare pubblicisti, e far accedere i pubblicisti all'esame dei professionisti. La sua decennale "filosofia" di apertura si trasfuse in "Regione Italia", la striscia informativa bisettimanale frutto per tre anni, dal 1997 al 1999, di una intensa collaborazione giornalistica fra il Tg3 Rai e l'Ufficio Stampa della Regione. Erano, consentìtemi di dirlo, spezzoni di giornalismo vero. Buon giornalismo, che dava voce a realtà inedite che voce non avevano. Sembra (consentìtemi anche questo di dire, avviandomi a quella che parrebbe una mesta conclusione) che siano passati anni-luce rispetto alla situazione attuale, che vede compiersi in questi mesi e settimane un processo opposto, nazionale e generalizzato, mirante ad eliminare i giornalisti dagli ufficî stampa insieme con le loro garanzie contrattuali e deontologiche. Sotto questa o quella etichetta di presunti adeguamenti al "nuovo-che-avanza" nel sistema dell'informazione, si compie un processo cominciato molto tempo fa, con la graduale perdita della spinta propulsiva e creativa delle Regioni degli inizî, a favore di una barocca complessificazione burocratica e dell'affermarsi, all'interno delle amministrazioni, di un neocentralismo di tipo microministeriale, una restaurazione cosciente delle forme e delle insegne del potere politico-burocratico, ch'era esattamente ciò contro cui le Regioni delle origini si erano proposte e nate. Certamente non è un fenomeno umbro – è complessivo. Non sono certo (solo) i giornalisti che lavorano nelle istituzioni ad essere attaccati, digeriti da un apparato che ha visto in loro, invece che quel che ho cercato di raccontare, corpi estranei da neutralizzare in nome dell'omogeneità amministrativa. Sotto attacco, lo sapete meglio di me, è tutto il sistema dell'informazione. "Per la prima volta nella storia moderna", scrive Alan Rusbridger, per vent'anni editor-in-chief del Guardian, "ci troviamo di fronte al problema di come le società potrebbero esistere senza notizie affidabili" . E Jill Abramson, per citare un altro libro recente , già executive editor del New York Times: "Non ci sono più tanti posti per fare quality news, notizie di qualità, o addirittura semplicemente provarci". Il popolo va controllato, nel non tanto segreto intento che si trasformi da popolo in plebe, attraverso l'esercizio di un potere, che cinicamente si finge democratizzato, umanizzato e addolcito da tweets e social media, ma non lo è. Facebook è un pericolo per la democrazia? si chiedeva appena qualche settimana fa The New Yorker (la rivista in cui è ancora di casa il miglior giornalismo del mondo). Dietro il filtro e gli algoritmi della casa madre, tutti vanamente s'illudono di essere diventati comunicatori, uno vale uno, notizia che vale l'altra anche se fake, e dunque basta con le corporazioni anacronistiche, come l'Ordine dei Giornalisti. Una vignetta del New Yorker mostra un'icona della Morte, con cappuccio e falce d'ordinanza, intenta a leggere la copia sbiadita di un giornale sempre più evanescente e prossimo alla sparizione. Donald Trump lo ha sintetizzato con la sua solita franchezza: i giornalisti sono public enemies. Se sono nemici pubblici, non sarebbe allora bene che sparissero, ovunque, i giornalisti, con la loro visione tardo-ottocentesca della professione, dappertutto, ma, a maggior ragione, nelle pubbliche amministrazioni? Sarebbe in fondo il preludio di un nuovo mondo, un brave new world di cui esistono già concrete avvisaglie: un bel mondo di new media, fatti non più da giornalisti, ma da managers portavoce e comunicatori, che in messaggi travestiti da notizie diano al popolo ciò che si vorrebbe far credere che "il popolo vuole". L'intrattenimento mirato alla persuasione occulta. Governato dall'algoritmo. In questo quadro, la mia testimonianza, questo stesso riconoscimento che oggi mi date, potrebbe essere interpretato (soprattutto da me) come una sorta di piccolo fallimento personale. Non sarebbe granché, se riguardasse me solo. Ma non è così. Alla fine, a dispetto dell'apocalisse annunciata, non credo che tutto questo succederà davvero, perlomeno nel lungo periodo. C'è, soprattutto adesso, un difficile lavoro da fare, in cui siamo impegnati tutti. A partire da ciò che conosciamo meglio, la nostra attività quotidiana. Noi tutti che abbiamo fatto, che continuiamo a fare, in un modo o nell'altro, questo mestiere, e a crederci, dobbiamo averne coscienza, e lavorare e lottare per questo. In gioco, ci sono la verità e la libertà. O, se vi pare troppo, qualcosa che gli somiglia molto.  DI LUCIO BIAGIONI 

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